La concezione del tempo nella riflessione filosofica

La definizione di tempo costituisce uno dei problemi principali della filosofia fin dall’antichità. Si possono distinguere due principali concezioni:

  • tempo oggettivo, concepito come ordine misurabile del “divenire”, del movimento;
  • tempo soggettivo, concepito come una successione di stati psichici legati tra loro dalla memoria.

La concezione che identifica il tempo come l’ordine del movimento è la più antica.

Platone definisce il tempo "immagine mobile dell'eternità". Con questa definizione, egli intende dire che la suddivisione in giorni e notti, in mesi e anni, che non esisteva prima della formazione del cielo, è stata voluta dal demiurgo (il dio buono e intelligente che ordina il mondo sensibile ispirandosi a quello delle idee) per dare ordine al corso degli eventi naturali e umani. Senza tale scansione, infatti, gli uomini non avrebbero potuto organizzare la propria vita. Quindi come il mondo sensibile è imitazione di quello intellegibile (il primo mutevole, il secondo eterno), così il tempo è imitazione dell'eternità. Il demiurgo inoltre ha collegato il tempo al moto regolare degli astri per il bene degli uomini, infatti essi servono a identificare l’alternarsi del giorno e della notte e a calcolare il trascorrere dei mesi e degli anni, vale a dire quindi a misurare il tempo.

Invece il tempo in Aristotele, è definito come “la misura (o il numero) del movimento secondo il prima e il poi”. Il tempo quindi è strettamente connesso al movimento. Deriva dal fatto che le cose non sono stabili, ma mutano; esso esiste finché c’è il movimento di cui rappresenta la misurabilità numerica.

Il tempo appare come quello “spazio” che intercorre tra il prima e il poi, uno spazio le cui estremità sono gli “istanti”. Nell’istante non c’è movimento né tempo, ma c’è tempo e movimento nella relazione tra il prima e il poi. Dunque, il tempo è misura del prima e del poi.

Se il tempo è il “numero” o la misura, occorre qualcosa capace di numerare e misurare, vale a dire un soggetto o un pensiero che eserciti la numerazione; pertanto, senza l’anima che pensa il numero, non sussisterebbe il tempo, ma solo il movimento dei corpi esterni.

Nel Seicento lo sviluppo del pensiero scientifico porta ad una nuova visione del tempo.

Per Galileo Galilei e Isaac Newton il tempo non è un’intuizione interiore della coscienza, ma una dimensione oggettiva della realtà che costituisce, insieme allo spazio, un parametro misurabile del movimento. 
Newton distinse opportunamente tra il “tempo assoluto”, cioè oggettivo, esteriore, reale, fisico, che è scientificamente misurabile attraverso appositi strumenti di calcolo, quali, ad esempio, un pendolo, una clessidra, un orologio, un calendario ecc., e il “tempo relativo”, che è invece soggettivo, interiore, che non può essere misurato e calcolato mediante congegni meccanici o criteri scientifici rigorosi, di precisione matematica. 

Con Kant la riflessione sul tempo imbocca una nuova direzione: la questione di che cosa sia il tempo si trasforma nel quesito in che modo il tempo venga percepito dalla mente umana. E la conclusione è che il tempo non è un dato d’esperienza che viene dal mondo esterno: il tempo che noi percepiamo è, propriamente, una modalità mentale (una “forma a priori”) con la quale organizziamo in sequenza gli accadimenti dell’esperienza. È “la forma del senso interno”, ossia la rappresentazione innata in noi che costituisce il fondamento dei nostri stati interiori e in virtù della quale noi li percepiamo sempre uno dopo l'altro, in una successione regolare di passato, presente e futuro. Inoltre, sul tempo si fonda l'aritmetica, poiché soltanto in virtù di esso possiamo cogliere il concetto di numero, che altro non è se non l'intuizione della successione degli elementi.

Alla fine del XIX secolo il filosofo Henry Bergson mette in discussione il concetto di tempo assoluto di Newton, definendo il tempo della scienza come un tempo “spazializzato”, una successione misurabile omogenea di istanti, raffigurabile su una linea retta costituita da una serie infinita di punti, tutti inevitabilmente uguali.

Un'immagine del tempo così inteso, meccanico nella sua ripetizione, è offerta dall'orologio, il quale fornisce sempre e soltanto la rappresentazione dell'istante attuale mediante la posizione delle lancette, senza nulla conservare dei momenti passati. Questo tempo ha una grande utilità pratica, perché è grazie al suo carattere di misurabilità che è possibile l'organizzazione della vita sociale.

Il tempo della scienza è quindi utile e necessario ma non è l'unico. Bergson individua, oltre al tempo della scienza, il tempo della coscienza, concepito come un flusso continuo, un incessante movimento degli stati di coscienza in cui passato, presente e futuro si fondono e si compenetrano.

Il tempo della coscienza è dato dal confluire del passato nel presente, grazie alla memoria, e di questo nel futuro, attraverso l'anticipazione. In esso tutte le modalità di misurazione, l'ora, il giorno, l'anno, perdono significato. Un avvenimento del passato, tornato alla mia coscienza, può essere per me presente più di un evento dell'oggi.

Il tempo dello spirito, dunque, è un tempo interiore, soggettivo, che presenta varie caratteristiche:

  • è il tempo della durata: il tempo che dura, il passato che è presente;
  • è il tempo della vita, cioè delle cose che hanno significato per ciascun individuo, che rappresentano la vita vissuta;
  • è tempo qualitativo, perché non è misurabile e ha senso in ragione della qualità del ricordo che suscita in noi;
  • è un flusso continuo, non soggetto a essere segmentato in parti, come gli “istanti” che sul quadrante dell'orologio sono separati uno dall'altro.

Bergson identifica la coscienza con la memoria, distinta in tre aspetti:

  • il ricordo puro o memoria pura, ossia la durata spirituale, il deposito inconscio di tutte le esperienze passate, mantenuto nella forma in cui si erano presentati in origine;
  • il ricordo-immagine, l’atto con cui il nostro passato si concretizza, facendosi in parte presente qui e ora;
  • la percezione, la facoltà che ci lega al mondo esterno e ha la funzione di selezionare i dati che sono più utili ai fini delle nostre attività concrete.

Memoria pura e percezione corrispondono ai due estremi dello spirito e del corpo: il primo comprende la totalità della vita vissuta, il secondo si concentra sul presente e sulle necessità pratiche, portando alla luce solo una parte di quella totalità. Per questo una percezione isolata (un suono, un odore, un’immagine) può essere occasione del riaffiorare di un ricordo, cioè dell’emergere di quella memoria profonda che è sommersa al di sotto del livello consapevole, ma ne costituisce lo sfondo e l’impulso costante.

L’organo che fa da mediazione e da filtro tra i contenuti del ricordo puro e le esigenze della realtà è il cervello.

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