Le periodizzazioni del Novecento

La periodizzazione è la suddivisione della storia in periodi di tempo, ciascuno contraddistinto da una serie di caratteri originali tali da renderlo individuabile rispetto alle fasi storiche immediatamente precedenti e successive.

Può apparire soltanto un’esigenza convenzionale e artificiosa, ma in realtà è un'operazione di importanza fondamentale nelle discipline storiche, dal momento che consente di "pensare" in termini schematici il passato e di facilitare la collocazione temporale di un evento. 

Le difficoltà relative all'inquadramento temporale di un determinato periodo crescono con l'aumentare delle complessità del tempo che si vuole prendere in considerazione.

Uno dei periodi più complessi è il XX secolo, un secolo così pieno di eventi da essere difficilmente racchiuso in una definizione. Quindi bisogna tenere presente che a seconda delle prospettive prese in considerazione si avranno determinate periodizzazioni, le quali non arriveranno per forza a coincidere tra loro e saranno tutte equivalentemente valide.

  • Lo storico Niall Ferguson definisce il Novecento un “secolo violento”, un secolo che ha visto 10 milioni di vittime nella prima guerra mondiale, 51 nella seconda. Ma soprattutto la percentuale delle vittime civili sale dal 3% della prima guerra mondiale al 50% della seconda, fin quasi al 100% della guerra jugoslava degli anni Novanta.

           Ferguson individua almeno tre ragioni che hanno portato ai conflitti del XX secolo:

  • la risoluzione dei conflitti etnici, politici e religiosi (basti pensare ai sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti) ma anche ai milioni di deportati nei Gulag di Stalin (su 4 milioni di cittadini non russi deportati in Siberia e nell’Asia Centrale, almeno 1,6 milioni morirono per le privazioni subite);
  • la volatilità economica, che definisce “la frequenza e l’ampiezza dell’indice di crescita economica, dei prezzi dei tassi d’interesse e dell’occupazione, con tutte le pressioni e le tensioni sociali connesse”;
  • il declino degli imperi, cioè il “disfacimento degli imperi multinazionali europei che dominavano il mondo all’inizio del secolo, e la sfida dei nuovi Stati-impero emergenti in Turchia, Russia, Giappone e Germania”.

 

  • Il Novecento è il secolo delle “guerre totali”. La novità delle guerre del XX secolo risiede nel fatto che non sono guerre fondate su una logica di spartizione territoriale, mentre tutte le guerre fino all’Ottocento avevano questo principio: lo Stato vincitore conquistava parte del territorio dello sconfitto, secondo una concezione feudale del possesso del suolo (la terra è del re, e le guerre servono ad aumentare le terre del re). Ma la conseguenza di quel modo di fare la guerra era che i contendenti dovevano sopravvivere; ovvero che i sovrani si rispettavano a vicenda, per cui le guerre non finivano per esaurimento dei contendenti, ma quando era raggiunto l’obiettivo territoriale che ci si era posti.

          Le guerre del XX secolo invece hanno come fine la distruzione dell’avversario: ecco perché sono terribilmente sanguinarie e non finiscono che con la scomparsa fisica del nemico.

          Guerre “totali” proprio perché totale è stata la mobilitazione delle risorse civili, industriali, propagandistiche, oltre che militari, che i due conflitti mondiali hanno messo in campo.

          I due conflitti mondiali sono stati il fattore di mutamento più radicale della storia novecentesca, anche come acceleratore della crescita economica (nasce appunto il concetto di “economia di guerra”) e del processo di globalizzazione.

                                

                                          

  • Il “secolo della violenza” e delle “guerre totali “è il secolo dominato dallo scontro fra le ideologie politiche di massa che ne hanno alimentato le tragedie.

          Nel XX secolo le guerre degli Stati nazionali sono diventate anche guerre ideologiche:

  • prima guerra mondiale: lo scontro tra la democrazia e gli ultimi residui dell’assolutismo d’antico regime;
  • seconda guerra mondiale: lo scontro tra fascismo e antifascismo;
  • guerra fredda: lo scontro tra la liberal-democrazia e il comunismo.

          Le ideologie novecentesche (fascismo, nazismo, comunismo) nascono in risposta alla massificazione della società contemporanea e si presentano come un tentativo di integrazione politica, di “nazionalizzazione delle masse”.

          Le ideologie diventano “religioni politiche”, in quanto trasferiscono il sacro dalle religioni tradizionali alla politica e incarnano una speranza laica di salvezza nella storia, “il desiderio di costruire un paradiso in terra e non nel regno di Dio”.

                                             

 

  • Ernst Nolte ha interpretato il Novecento come secolo della “guerra civile”: 1917-1945: guerra civile europea; 1945-1991: guerra civile mondiale

        Per Nolte l’inizio di questa guerra è la Rivoluzione d’Ottobre nella Russia del 1917, che costituisce la radice profonda non solo del conflitto Est-Ovest, ma anche dell’esperienza nazista in Germania. Senza l'avvento del bolscevismo non vi sarebbe stata la “guerra civile europea”.

 

  • Lo storico E.J. Hobsbawn, nel suo libro “The Age of Extremes” del 1994, ha definito il Novecento invece un “secolo breve”, periodizzandolo fra due date che non coincidono con quelle cronologiche: il 1914, anno dello scoppio della prima guerra mondiale, e il 1991, anno della dissoluzione dell’Unione Sovietica dopo la caduta del muro di Berlino.

           Hobsbawm divide il secolo in tre fasi distinte:

  • l'Età della catastrofe, dal 1914 al 1945, caratterizzata dalle tragedie delle due guerre mondiali, dalla depressione economica del 1929, dalla crisi delle istituzioni liberali e dall’affermarsi di sistemi politico-ideologici alternativi come il comunismo e il fascismo;
  • l'Età dell'oro, dal 1946 al 1973, caratterizzata da crescita economica e da trasformazioni sociali;
  • la Frana, dal 1973 al 1991, ovvero una nuova epoca di disordine mondiale, che segna il crollo dell’URSS e degli altri paesi socialisti dell’Europa orientale.

 

  • Charles S. Maier, professore alla Harvard University, sostiene in maniera alternativa ad Hobsbawm che il '900 sia in realtà un “secolo lungo”: un’epoca che avrebbe avuto inizio alla fine degli anni cinquanta dell'800 e sarebbe terminata negli anni ottanta del '900.

           L'approccio di Maier è senza dubbio molto originale; egli infatti non punta particolarmente sugli aspetti politici. Tutta la sua riflessione ruota attorno al concetto di “territorio”, vale a dire dello “spazio circoscritto, organizzato politicamente, che presuppone necessariamente una pluralità di spazi delimitati spesso rivali”.

          Ebbene, è proprio intorno alla metà del secolo XIX che secondo Maier si nota un “notevole sforzo collettivo per stabilire confini”, uno sforzo che ha termine solamente centoventi anni dopo. Maier tende dunque a sottovalutare i momenti di rottura violenta, come invece faceva Hobsbawm, a partire dalle due guerre mondiali, le quali per Maier sono sicuramente episodi drammatici, ma non tali da determinare svolte epocali, poiché in essi “la posta in gioco non erano i principi di territorialità”.

 

  • Per lo storico italiano Leonardo Paggi il Novecento risulta letteralmente un “secolo spezzato” in due dal più drammatico e sanguinoso evento nella storia dell'umanità: la Seconda Guerra Mondiale. Le ragioni per cui questo conflitto rappresenta una svolta epocale sono evidenti: in primo luogo il numero dei morti, poi la logica dello sterminio di intere comunità, quindi l'utilizzo di armi di distruzione di massa, infine la rivoluzione negli assetti geopolitici internazionali con la nascita del bipolarismo USA-URSS.
                                                            

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