La relatività del tempo

La nostra quotidiana esperienza ci suggerisce che il tempo fluisca in avanti a velocità costante. Tuttavia, le cose cambiano per fenomeni che avvengono a velocità prossime a quella della luce.

Secondo la teoria di Maxwell, la luce emessa in avanti e indietro da un’astronave ha sempre velocità c, qualunque sia la velocità con cui essa si muove. Per l’elettromagnetismo la velocità della luce è un’invariante, cioè una grandezza che non dipende dal sistema di riferimento in cui è misurata. Quindi la meccanica e l’elettromagnetismo sono in contraddizione tra loro.

Per risolvere la contraddizione Albert Einstein propose di rifondare la fisica partendo da due assiomi:

  1. Principio di relatività ristretta: le leggi e i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
  2. Principio di invarianza della velocità della luce: la velocità della luce c nel vuoto è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dal moto del sistema stesso o della sorgente da cui la luce è emessa.

Einstein, partendo dall’ipotesi della costanza della velocità della luce c, si accorse che tutta la fisica sviluppata fino ad allora si basava sull’ipotesi che esistesse un tempo assoluto, cioè un tempo che scorre immutabile e identico in tutti i sistemi di riferimento. Egli analizzò l’idea di tempo assoluto, partendo dallo studio del concetto di simultaneità.

Due eventi E1 e E2, che avvengono nei punti P1 e P2, sono simultanei se la luce che essi emettono giunge nello stesso istante in un punto M equidistante da P1 e P2.

I due segnali luminosi, avendo la stessa velocità, impiegano intervalli di tempo uguali per percorrere le due distanze uguali P1M e P2M; quindi, se arrivano in M nello stesso istante, devono essere partiti simultaneamente.

 

Tuttavia, il giudizio di simultaneità è relativo: due eventi che risultano simultanei in un dato sistema di riferimento non lo sono in un altro, che si muove rispetto al primo.

 

Consideriamo un treno che si muove a grande velocità rispetto a un osservatore O1 fermo a terra in un punto P. Un secondo osservatore O2 si trova a bordo, a metà strada tra due punti A2 e B2 del treno.

Due petardi esplodono nei punti A1 e B1 dei binari che sono sovrapposti ad A2 e B2. L’osservatore O1, a terra, è a metà strada tra A1 e B1, e l’osservatore O2, sul treno, è a metà strada tra A2 e B2.

 

 

Per O1, che è raggiunto nello stesso istante dai lampi di luce emessi dai petardi, le due esplosioni sono simultanee.

 

 

 

 

Per O2, che vede prima il lampo di luce proveniente da A2 e poi quello da B2, le due esplosioni non sono simultanee.

Ecco perché il giudizio di simultaneità è relativo.

 

LA DILATAZIONE DEI TEMPI

Il fatto che la velocità della luce abbia un valore finito rende più difficile confrontare due misure di tempo che siano fatte in luoghi diversi.

Supponiamo di avere due orologi identici, in quiete l’uno rispetto all’altro e separati da una distanza nota D. Il primo di questi orologi è programmato per emettere un lampo di luce a un orario fissato t=t0.

Dal momento che la luce percorre il tragitto tra il primo orologio e il secondo in un intervallo di tempo Δt = D/c, diciamo che i due orologi, reciprocamente fermi e posti a distanza D, sono sincronizzati se il secondo di essi, quando riceve il lampo di luce emesso all’istante t0 dal primo, segna il valore

Un osservatore O2, che si trova su una piattaforma mobile, ha a disposizione un orologio collegato a una sorgente e a un sensore di luce. A un certo istante la sorgente emette un lampo luminoso, verticalmente verso uno specchio posto a distanza d.

Il lampo si riflette e torna verso il basso. Quando il sensore ne rileva l’arrivo, l’orologio si ferma e indica l’intervallo di tempo ∆t impiegato dalla luce nel percorso di andata e ritorno

Per fare questa misurazione all’osservatore O2 è sufficiente un solo orologio.

 

La piattaforma di O2 si muove verso destra con velocità v rispetto a O1, un altro osservatore che è fermo a terra.

Per O1, mentre il lampo di luce va dalla sorgente allo specchio e dallo specchio al sensore, la piattaforma di O2 si muove verso destra. Perciò la luce percorre una spezzata, che prima sale e poi scende obliquamente.

 

Nel sistema di riferimento di O1 sono disposti molti orologi sincronizzati tra loro e identici a quello di O2. Per registrare l’istante in cui accade l’evento iniziale e quello finale, a O1 servono due orologi.

Per O1 la procedura corretta per misurare l’intervallo di tempo Δt'  è calcolare la differenza tra le letture dei due orologi.

Rispetto al suolo il lampo di luce percorre una spezzata ABC, nella quale i segmenti AB e BC sono i lati di un triangolo isoscele di base AC. Per il teorema di Pitagora

dove

Elevando queste formule al quadrato, sostituendole nella formula precedente e moltiplicando entrambi i membri per 4 otteniamo

Quindi

 

I due intervalli di tempo Δt e Δt' , misurati in due sistemi di riferimento diversi per la durata dello stesso fenomeno, sono differenti.

Se la velocità di un corpo crescesse fino a diventare maggiore di c, l’argomento della radice quadrata diventerebbe negativo. Ciò è impossibile e indica che la velocità della luce c nel vuoto è una velocità limite che nessun corpo può superare.

Il denominatore che compare nella formula è un numero minore o al massimo uguale a uno. Perciò l’intervallo di tempo Δt'  è sempre maggiore o uguale a Δt.

Questo effetto prende il nome di dilatazione dei tempi: la durata di un fenomeno, ossia l’intervallo di tempo tra i due eventi che ne segnano l’inizio e la fine, risulta minima quando è misurata in un sistema di riferimento inerziale S rispetto al quale i due eventi accadono nella stessa posizione.

Perciò S è detto sistema di riferimento solidale con il fenomeno. In tutti i sistemi di riferimento in moto rispetto a S la durata del fenomeno è maggiore.

La durata di un fenomeno misurata in un sistema di riferimento con esso solidale si chiama intervallo di tempo proprio o tempo proprio del fenomeno e si indica con il simbolo .

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